EVENTI: La Passione secondo Matteo - Vangeli astratti - Genesi del Mondo e Genesi dell'arte - Genesi - Monografia


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Antonio Paolucci
presenta “Genesi del Mondo e Genesi dell’Arte” di Roberto Demarch

PARTE I°PARTE II°

i testi del catalogo

Antonio Paolucci Genesi dell’Arte

GENESI DELL’ARTE
di Antonio Paolucci

L’arte è un mistero ontologico perché è “creazione”. L’uomo, nel corso della sua storia, ha studiato, manipolato, assemblato e trasformato i materiali offerti dalla natura ed ha prodotto “cose”; dal pugnale di ossidiana alla navicella spaziale. Ma quando si è scoperto artista, l’Uomo ha “creato”.
Ignoto artefice che ventimila anni or sono sulla parete della grotta di Altamira ha disegnato un bisonte non ha prodotto nulla. Non ha replicato il bisonte in carne ed ossa che pure ha messo in figura. Il suo bisonte è altro rispetto al bisonte vero, vive di vita propria, obbedisce a una logica e a un destino che nulla hanno a che fare con quelli biologici della specie. L’artefice di Altamira ha inventato l’idea di bisonte, ha dato immagine a qualcosa che in natura non esiste non può esistere. Ha, quindi, “creato”. Dico questo per spiegare la logica che governa la mostra allestita da Demarchi negli spazi espositivi di Santa Maria del Popolo, a Roma. C’è la serie del “Genesi”, già presentata a Torino alla fine dell’anno scorso, la vasta sinfonia pittorica che parla di Dio creatore dell’Universo. E c’è ora, qui a Roma, in perfetto simmetrico bilanciamento di quella, l’antologia gloriosa dell’Uomo. L’Uomo che, nella dimensione meravigliosa e misteriosa dell’Arte, è egli stesso “creatore”.
Le tecniche alle quali si affida il melodioso e rigoroso “astrattismo lirico” del Maestro torinese, le conosciamo. Misure esattamente studiate e proporzionate del supporto ligneo, pigmenti ora grumosi ora specchiati, coesistenze di olii, di acrilici, di stucchi, di vernici.
L’obiettivo era quello di raccontare la creazione attraverso venticinque secoli di storia dell’arte e dodici autori, affidati ciascuno a un’opera celebre. Così Fidia è significatola un frammento del Partenone che si conserva al British Museum di Londra, Filippo Brunelleschi dalla fiorentina chiesa di Santo Spirito, Piero della Francesca dalla Madonna detta “Senigallia”, Leonardo da Vinci dalla Vergine delle Rocce, dalla Madonna Sistina Raffaello, dalla Pietà che sta nel Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore Michelangelo, dal Compianto drammatico dipinto al termine della vita, Tiziano. Ancora Caravaggio e la Caduta di Saulo nella cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo, Borromini e il chiostro del San Carlino alle Quattro Fontane, Diego Velazquez è Las Meninas, la Sposa ebrea è Rembrandt, la Donna con caffettiera che si conserva al Museo d’Orsay, Cézanne.
Lo stile di Demrchi è insieme razionale ed emozionale, è filosofico e poetico allo stesso tempo. Sono le forme geometriche pure a significare l’ordine intellettuale che governa l’universo visibile. E il colore, modulato in campiture ora perentorie ora attraversate da vibrazioni e da accensioni, a dare immagine alla emozione e allo stupore. Al punto di equilibrio fra le due vocazioni espressive (quella razionale e quella poetica) si colloca la pittura di Demarchi.
Questo suo metodo di speculazione prima e poi di rappresentazione applicato ai capolavori dell’arte universale, produce risultati singolari ed oggettivamente affascinanti. Noi storici dell’arte conosciamo da sempre le tecniche della mimesi verbale. L’opera d’arte può essere commentata e quindi significata con lo strumento della parola che non riproduce l’originale ma lo rende comprensibile in modo analogico, per allusione e per evocazione. Tanto più efficace è la mimesi verbale quanto più profonda la conoscenza del tesato figurativo e quanto più la parola riesce ad aderire, come una nuova pelle, all’opera oggetto di analisi.
Una operazione di questo genere con il mezzo espressivo non della parola letteraria ma del linguaggio figurativo, non è mai stata tentata prima. Non, almeno, in maniera così vasta e sistematica.
Il Maestro torinese si pone di fronte ai capolavori assoluti dell’arte universale e dopo averli a lungo studiati, dopo essere entrato in sintonia con loro li commenta e quindi li ricrea, per allusione e per evocazione, con i suoi mezzi. Cambia il medium – le tecniche della pittura al posto di quelle della parola – non cambia il metodo dell’approccio critico e della ricreazione poetica. Così Fidia è la gloria dorata di una “cosa” scabra e preziosa campita contro l’azzurro cielo dell’Ellade serena; Brunelleschi è il grigio della pietra serena che diventa prospettiva matematica nella cornice di un nero lucente, sontuoso; Piero della Francesca è la poetica orfica e pitagorica dei corpi regolari; la Vergine delle Rocce di Leonardo è il bruno profondo immemoriale che tenui splendori cromatici tenuemente illuminano.
Il Raffaello della Madonna Sistina è alto splendore, è appagamento, è gioia, è la “facilità”, supremo raggiungimento dello stile. Mentre il Michelangelo della Pietà di Firenze reclama forme difficili e superfici tormentate; un effetto che l’artista è riuscito ad ottenere simulando, nella spessa ammanitura di stucco, il morso dello scalpello e le unghiate lunghe della gradina.
Nel Tiziano drammatico dell’ultimo Compianto, i rossi e i gialli gloriosi della sua pittura più tipica sopravvivono come disarticolati relitti di un vasto naufragio esistenziale prima ancora che stilistico. Mentre nel commento alla Caduta di Saulo di Caravaggio in Santa Maria del Popolo, Demarchi ha saputo significare perfettamente l’incombenza di quel tergo di cavallo che occupa la scena e brutalmente meravigliosamente afferma l’ineludibile primato del Vero.
Il Borromini di San Carlino alle Quattro Fontane è una geometria di celeste crudele, lancinante. Mentre Las Meninas di Velazquez ha il suo fuoo nel nero specchiante che evoca la presenza dei sovrani nell’atelier del pittore. La Sposa ebrea di Rembrandt affida a vibranti laghi di geometrici colori il fuoco dei sentimenti e il timido splendore di una giovane vita, mentre la Donna con caffettiera di Cézanne è malinconica monumentalità, e l’ordine ineludibile che sovrintende alla mestizia delle cose.
La storia dell’arte vista con gli occhi di un pittore-filosofo che ha scelto di giocare da solo nelle terre di confine che stanno fra ragione e poesia, è una inedita avventura, è uno squisito azzardo che merita tutta la nostra ammirazione.


© Roberto Demarchi 2017 | English version

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