EVENTI: La Passione secondo Matteo - Vangeli astratti - Genesi del Mondo e Genesi dell'arte - Genesi - Monografia


MONOGRAFIA

Yves Bonnefoy
Dévotion.
Cesare Greppi
Dal Confine.
Günter Kunert
Sparse sul sentiero del bosco.
Nel sentiero d’ombra
Pavlos Màtesis
Per la pittura di Roberto Demarchi da uno scrittore che
impara a scrivere da Goya
.
Titos Patrikios
Caos e luce nella pittura di Roberto Demarchi.
Camillo Pennati
I fondi nero di Demarchi.
Giovanni Raboni
Come uno che sta sognando e sa
Roberto Rossi Precerutti
La città della mente di Roberto Demarchi.
A un remoto fiammeggiare. Omaggio a Roberto Demarchi.
Emanuele Severino
Luce che brilla ovunque, oscurità dei sentieri, potenza della verità.
Andrea Zanzotto
– (Giù, lungo la stradella nella forra con viva corrente).

LUCE CHE BRILLA OVUNQUE, OSCURITÀ
DEI SENTIERI, POTENZA DELLA VERITÀ*

di Emanuele Severino

SUPPLICI, vv. 85-90

I versi 85-90 delle Supplici anticipano il tema di fondo dell’«Inno a Zeus». La volontà di Zeus (Diòs ímeros), dicono, è impenetrabile (vv. 86-87). Ma vi sono coloro che si rivolgono a lui «tenendosi all’interno della verità somma»,pan-alethôs (v. 85). Pan-alethôs corrisponde a pant’epistathmómenos e a phrenôn tò pân dei versi 164 e 175 dell’inno: il culmine della verità è il contenuto del culmine della sapienza. Per coloro che, al culmine della sapienza, «sanno guardare» (merópessi laoîs v. 90), la «volontà di Zeus» è la Legge divina del Tutto, e il divino che si manifesta nella verità (pan-alethôs) «brilla ovunque» (pantâ phleghéthei, vv. 88), perfino nell’oscurità (scóto) e nella sorte funesta (meláina xùn túcha) (vv. 89-90). Zeus brilla e avvampa (phlegéthei) dinanzi agli occhi di coloro che, nell’epistéme, sanno guardare con verità: brilla sempre e ovunque (pantâi), anche se i meandri della sua volontà e dei suoi pensieri sono impenetarbili ed oscuri e la sciagura è incombente. Questa luce vera dell’epistéme – l’apparire della verità di Dio – illumina quindi e scalda chi sa, e gli consente di sopportare l’oscurità e il dolore in cui egli si trova, ossia gli consente di gettar via la mancanza di senso dell’oscurità e del dolore. Il verso 85 delle Supplici esprime infatti l’invocazione (eitheíe) che abbia a prodursi ciò che «in modo completamente vero» è «il bene» donato da Zeus: eitheíe Diòs eu pan-alethôs. Invocare significa chiedere la salvezza dal dolore; invocare ciò che è veramente il bene di Zeus significa quindi vedere la salvezza nella verità di quella luce, ossia nella luce in cui brilla la verità di Zeus. Ma questa luce è anche lontanissima dalla superficie della non verità in cui il mortale per lo più si mantiene. «L’occhio che riesce a vedere»( dedorkòs ómma), cioè l’occhio dei méropes laôi del verso 90) «deve scendere nel fondo del profondo pensiero che salva» ( déi toi bathéias phrontídos soteríu… es bythòn molèin, Suppl., vv. 407-9). La profondità del pensiero che, illuminata dall’occhio che riesce a vedere, salva dalla follia e vanità del dolore è la verità. La salvezza è circondare il dolore con la verità del pensiero – «soffrire con la verità del pensiero» ( alathéia phrenôn ponései) dice il verso 1550 dell’Agamennone. Il vero pensiero acquista così potenza sul dolore: páthei máthos…. Kyriòs échein (Ag. vv. 177-78). I versi 85-90 delle Supplici dicono: Venga il bene [ eu, cioè il rimedio] di Zeus [Zeus è “il sommo rimedio”, To pân mêchar, Suppl., v. 594] che si manifesta nella verità piena e somma [pan-alethôs]. La volontà di Zeus non si lascia rintracciare facilmente [uk euthératos: eu – thératos dice che il rimedio, eu, non consiste nel saper rintracciare e raggiungere -théra- , penetrandola, la volontà di Zeus]. Eppure, per gli uomini che sanno vedere con verità. Zeus brilla ovunque [illumina il Tutto,pantà toi phleghéthei]: anche nell’oscurità e nella sorte avversa». Chi, al culmine della sapienza, sa vedere con verità, è illuminato, nel dolore, dal Dio. Questa luce, che per chi sa illumina tutte le cose, rende sopportabile l’angoscia prodotta dall’ imprevedibilità dell’accadimento del mondo, che annienta i mortali ( panóleis brotús Suppl., v. 96) «gettandoli giù dalle alte torri delle speranze», dove hýbris (vv. 80; 103) li ha sollevati. Le torri delle speranze di hýbris vogliono sollevarsi al di sopra della luce della verità; che sa guardarla non sale quindi su di esse ma scende «nella profondità»(es bythón, v. 408) luminosa – en pháei, Eum., v. 522 – «del pensiero che salva» (phrontídos soteríu, Suppl., v. 407).
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*Su indicazione dell’Autore e per gentile concessione di Adephi Edizioni, si riproduce qui parte del paragrafo I del capitolo III de Il Giogo. All’origine della ragione: Eschilo (1989).

 


© Roberto Demarchi 2017 | English version

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