MONOGRAFIA Yves Bonnefoy – Dévotion. Cesare Greppi – Dal Confine. Günter Kunert – Sparse sul sentiero del bosco. – Nel sentiero d’ombra Pavlos Màtesis – Per la pittura di Roberto Demarchi da uno scrittore che impara a scrivere da Goya. Titos Patrikios – Caos e luce nella pittura di Roberto Demarchi. Camillo Pennati – I fondi nero di Demarchi. Giovanni Raboni – Come uno che sta sognando e sa Roberto Rossi Precerutti – La città della mente di Roberto Demarchi. – A un remoto fiammeggiare. Omaggio a Roberto Demarchi. Emanuele Severino – Luce che brilla ovunque, oscurità dei sentieri, potenza della verità. Andrea Zanzotto – (Giù, lungo la stradella nella forra con viva corrente). | DAL CONFINE di Cesare GreppiLa prima emozione che incontra chi si avvicina alle immagini di Demarchi è, credo, simile a un’ombra, ma non certo disturbante. E’ l’emozione della memoria culturale che il titolo impone, Perì physeos, intorno al quale si muovono e si attorcigliano le frasi già a nostra disposizione, e la loro eco rimasta, per quanto possibile, greca. “E’ indifferente per me il dove da cui partire, là infatti di nuovo devo ritornare” o “Come la terra, il sole e la luna….” Questoè il confine da cui viene verso di noi la nostra cultura. Ma quando svanisce questa luminosa nuvola, gli occhi, ancora la memoria, e forse una specie di desiderio, assegnano a queste immagini l’unità e l’inesauribilità di ciò che abbiamo sperimentato come pieno di risonanza nella cavità di noi stesi. Si installa infatti nella nostra attenzione soprattutto la resistenza del fondo. Neanche la cosa visibile e riconoscibile, al suo comparire, scaccia ciò che assedia l’esperienza come invisibile, afono, come “fondo”,. Il chaos originario ci è prossimo: sono il nostro confine, certo, la nascita e la morte, ma anche il sonno, la memoria perduta, il corpo…E’ il mantenimento – per allusione o per allegoria – del fondo (chiamiamolo pure “fondamento”) a promuovere l’apparire delle immagini come prime presenze. Senza colore, con i colori, Ma l’angolo, la retta, il quadrato a chi guarda (mi racconto una favola elementare) non sembrano approdi, non hanno preso le distanze: nascono appena, da matrice ignota. E nascono attraenti. Le forme semplici e lucide, che amiamo perché fanno ordine, potranno forse altrove disegnarsi su bianco, se non su oro: esse fonderanno la rappresentazione. Ma, per ora, il centro di gravità dell’emozione sta nella visione “doppia”, insieme dell’immobile confine buio e di quanto invece è destinato a “svilupparsi” e a reggere la nostra conoscenza efficace. Calme, si veda, le figure hanno in sé, il riverbero di quell’elemento che non si stacca da noi, terra non perduta né fatalmente abolita. Se sono trionfanti, trionfano per questo fatto. |