MONOGRAFIA Yves Bonnefoy | LUCE CHE BRILLA OVUNQUE, OSCURITÀ DEI SENTIERI, POTENZA DELLA VERITÀ* di Emanuele Severino SUPPLICI, vv. 85-90 I versi 85-90 delle Supplici anticipano il tema di fondo dell’«Inno a Zeus». La volontà di Zeus (Diòs ímeros), dicono, è impenetrabile (vv. 86-87). Ma vi sono coloro che si rivolgono a lui «tenendosi all’interno della verità somma»,pan-alethôs (v. 85). Pan-alethôs corrisponde a pant’epistathmómenos e a phrenôn tò pân dei versi 164 e 175 dell’inno: il culmine della verità è il contenuto del culmine della sapienza. Per coloro che, al culmine della sapienza, «sanno guardare» (merópessi laoîs v. 90), la «volontà di Zeus» è la Legge divina del Tutto, e il divino che si manifesta nella verità (pan-alethôs) «brilla ovunque» (pantâ phleghéthei, vv. 88), perfino nell’oscurità (scóto) e nella sorte funesta (meláina xùn túcha) (vv. 89-90). Zeus brilla e avvampa (phlegéthei) dinanzi agli occhi di coloro che, nell’epistéme, sanno guardare con verità: brilla sempre e ovunque (pantâi), anche se i meandri della sua volontà e dei suoi pensieri sono impenetarbili ed oscuri e la sciagura è incombente. Questa luce vera dell’epistéme – l’apparire della verità di Dio – illumina quindi e scalda chi sa, e gli consente di sopportare l’oscurità e il dolore in cui egli si trova, ossia gli consente di gettar via la mancanza di senso dell’oscurità e del dolore. Il verso 85 delle Supplici esprime infatti l’invocazione (eitheíe) che abbia a prodursi ciò che «in modo completamente vero» è «il bene» donato da Zeus: eitheíe Diòs eu pan-alethôs. Invocare significa chiedere la salvezza dal dolore; invocare ciò che è veramente il bene di Zeus significa quindi vedere la salvezza nella verità di quella luce, ossia nella luce in cui brilla la verità di Zeus. Ma questa luce è anche lontanissima dalla superficie della non verità in cui il mortale per lo più si mantiene. «L’occhio che riesce a vedere»( dedorkòs ómma), cioè l’occhio dei méropes laôi del verso 90) «deve scendere nel fondo del profondo pensiero che salva» ( déi toi bathéias phrontídos soteríu… es bythòn molèin, Suppl., vv. 407-9). La profondità del pensiero che, illuminata dall’occhio che riesce a vedere, salva dalla follia e vanità del dolore è la verità. La salvezza è circondare il dolore con la verità del pensiero – «soffrire con la verità del pensiero» ( alathéia phrenôn ponései) dice il verso 1550 dell’Agamennone. Il vero pensiero acquista così potenza sul dolore: páthei máthos…. Kyriòs échein (Ag. vv. 177-78). I versi 85-90 delle Supplici dicono: Venga il bene [ eu, cioè il rimedio] di Zeus [Zeus è “il sommo rimedio”, To pân mêchar, Suppl., v. 594] che si manifesta nella verità piena e somma [pan-alethôs]. La volontà di Zeus non si lascia rintracciare facilmente [uk euthératos: eu – thératos dice che il rimedio, eu, non consiste nel saper rintracciare e raggiungere -théra- , penetrandola, la volontà di Zeus]. Eppure, per gli uomini che sanno vedere con verità. Zeus brilla ovunque [illumina il Tutto,pantà toi phleghéthei]: anche nell’oscurità e nella sorte avversa». Chi, al culmine della sapienza, sa vedere con verità, è illuminato, nel dolore, dal Dio. Questa luce, che per chi sa illumina tutte le cose, rende sopportabile l’angoscia prodotta dall’ imprevedibilità dell’accadimento del mondo, che annienta i mortali ( panóleis brotús Suppl., v. 96) «gettandoli giù dalle alte torri delle speranze», dove hýbris (vv. 80; 103) li ha sollevati. Le torri delle speranze di hýbris vogliono sollevarsi al di sopra della luce della verità; che sa guardarla non sale quindi su di esse ma scende «nella profondità»(es bythón, v. 408) luminosa – en pháei, Eum., v. 522 – «del pensiero che salva» (phrontídos soteríu, Suppl., v. 407). |